Danni da amianto per i lavoratori, un problema fortemente attuale

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Intervista all’avv. G. Meglio sui danni provocati e sulle tutele azionabili

L’amianto è un minerale naturale a struttura fibrosa, con proprietà fonoassorbenti e termoisolanti, che in passato, grazie al suo basso costo di mercato, ha avuto estese e svariate applicazioni industriali, laddove vi fossero esigenze di assorbimento acustico e/o di isolamento termico.

A partire dagli anni Quaranta, sulla base di esaurienti resoconti statistici e di indagini epidemiologiche, la Comunità Scientifica Internazionale ha evidenziato la pericolosità di questo materiale altamente nocivo per la salute umana, sia in relazione ai rischi di asbestosi (malattia respiratoria cronica) che di quelli cancerogeni (neoplasie delle vie respiratorie, tumore della pleura, del peritoneo, del pericardio, carcinoma polmonare asbesto-correlato, carcinoma della vescica). Tuttavia, nonostante queste incontestabili evidenze scientifiche, l’amianto ha continuato ancora per molti anni ad essere estratto, lavorato e impiegato in molteplici usi. “La salute pubblica è stata quindi sacrificata agli interessi economici delle industrie del settore con un calcolo cinico che, oltre ai gravissimi e irrimediabili danni alla salute delle vittime, ha avuto un notevole impatto sull’economia dell’intero Paese, a causa degli alti costi ricaduti sulla collettività per le malattie, per la previdenza e per le opere di bonifica” asserisce con enfasi l’Avvocato Gianmarco Meglio di Caserta. Da anni impegnato nella difesa di numerosi ex lavoratori dei cantieri navali Stabiesi e di altri importanti siti italiani e non solo esposti all’amianto, grazie alla sua passione e determinazione, ha ottenuto eccellenti risultati e corposi risarcimenti dei danni patiti dai parenti delle vittime o dai lavoratori gravemente malati.

Avvocato Meglio, quando l’opinione pubblica ha iniziato a capire che l’esposizione all’amianto poteva essere estremamente pericolosa?

Direi che, purtroppo, l’opinione pubblica ha percepito la pericolosità dell’amianto quando ormai era troppo tardi e i primi danni, soprattutto in alcuni settori industriali, iniziavano già a manifestarsi. Parliamo di migliaia di famiglie minate dal problema del cd. danno lungolatente, ossia la manifestazione di una patologia a distanza di tempo, anche notevole, rispetto all’esposizione all’elemento patogeno.

Ad un certo punto, anche in Italia, le istituzioni hanno iniziato ad aver a cuore questo problema, per cercare di riparare ad un torto ampiamente consumato, non avendo la classe politica di allora immediatamente recepito le norme di prevenzione europee dettate in materia fin dal 1980. Oggi quali oneri incombono sul datore di lavoro?

Nel nostro Paese, per diversi decenni (fino ai primi anni ’90), si è fatto un uso indiscriminato di amianto in violazione a quanto disposto da leggi di prevenzione già vigenti. Mi riferisco sia all’art. 2087 c.c. – secondo cui “il datore di lavoro, nell’esercizio dell’impresa, è tenuto ad adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori” – che all’art. 21 del D.P.R. 303/56 – norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall’inalazione di tutte le polveri (visibili od invisibili, fini od ultrafini), e ai sensi della quale “nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro, tenendo conto della natura delle polveri e della loro concentrazione nell’atmosfera”. In pratica nell’esercizio dell’attività lavorativa, l’imprenditore è tenuto all’adozione delle misure preventive e protettive di carattere tecnico, organizzativo, procedurale ed igienico idonee a tutelare la salute dei lavoratori.

Nel corso della sua lunga attività professionale, lei si è molto speso per assistere legalmente gli ex operai di cantieri navali, luoghi dove l’amianto, fino agli anni Novanta, veniva impiegato in maniera massiccia. Considerando che la malattia ha un periodo di incubazione di 30-40 anni, è facile desumere che purtroppo il picco di mortalità si avrà intorno al 2020. E allora cosa possono fare queste povere persone esposte, loro malgrado, a questo materiale killer?

Anzitutto direi monitoraggio del proprio stato di salute e prevenzione: sottoporsi con regolarità a controlli medici specifici. Per moltissimi anni nell’industria navalmeccanica – si pensi ai cantieri di Castellammare di Stabia, Monfalcone, Ancona, La Spezia, e Palermo – si è fatto «un uso spropositato di questo minerale» utilizzato in tutte le opere di coibentazione delle navi finché, a partire dal ’92 circa, la sua produzione e lavorazione è stata bandita con l’introduzione della legge numero 257. Nel frattempo, però, centinaia di operai si sono ammalati di asbestosi (mancanza di respiro, tosse cronica, respiro sibilante) e di patologie oncologiche, morbi incurabili provocati proprio dall’inalazione di fibre di amianto. Molti di loro sono deceduti nel corso degli anni e tanti altri patiscono quotidianamente forti disturbi respiratori. In questo contesto fatto di dolore e sofferenza, molti ex lavoratori o loro familiari hanno avviato azioni legali, affidandosi a persone esperte e qualificate che hanno saputo far valere i loro diritti troppo a lungo negati: corposi risarcimenti, prepensionamento, indennizzi o rendite. Il mio secondo consiglio è quindi quello di rivendicare i propri diritti rivolgendosi, senza timore, a professionisti altamente specializzati; in genere la consulenza è totalmente gratuita con una valutazione complessiva della storia lavorativa e della situazione medico-legale.

di Roberta Imbimbo

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