Nata dall’intuizione di Salvatore Santucci, Santucci & Partners è una società indipendente di consulenza direzionale con sede nel Centro Italia. Forte di una squadra di dieci professionisti altamente qualificati, si propone come un punto di riferimento per le PMI italiane che vogliono affrontare il futuro con visione strategica, servizi specializzati e uno sguardo aperto ai mercati globali.

di Roberta Imbimbo

Dott. Santucci, partiamo dalle origini: com’è nata Santucci & Partners e cosa vi distingue nel panorama della consulenza?

Siamo una piccola realtà, con una squadra di dieci professionisti altamente qualificati, specializzati nella consulenza finanziaria per le imprese. Nasciamo nel Centro Italia, a Perugia, lontano dai grandi hub come Milano, ma questo non ci ha impedito di sviluppare un’offerta di altissimo livello. Anzi, ci ha spinti ad affinare ancora di più il nostro approccio: siamo una vera e propria “boutique” della consulenza, dove l’attenzione al cliente e alla personalizzazione del servizio è centrale. La nostra forza sta proprio qui: nell’alta specializzazione, nella struttura indipendente e nella capacità di offrire soluzioni su misura per le PMI che operano — sempre di più — su scenari internazionali.

In un mercato competitivo come quello della consulenza direzionale, come si resta rilevanti?

Guardando sempre avanti. Le imprese oggi non cercano solo risposte, cercano visione. Operano sui mercati globali, vendono all’estero e affrontano sfide nuove ogni giorno. Il nostro compito è quindi anticipare i cambiamenti, non inseguirli. Per questo motivo ci siamo specializzati in ambiti strategici come l’innovazione, le startup ad alto potenziale e, naturalmente, la finanza ESG. Non ci interessa seguire mode o replicare modelli standardizzati: vogliamo offrire un approccio progettuale ragionato e strutturato. Siamo pianificatori. È questo, oggi, il valore aggiunto per un imprenditore: la capacità di leggere il futuro e adattarvisi con lucidità e metodo.

Uno dei temi centrali emersi a Parigi durante la conferenza annuale di Euronext (tenutasi il 18 Marzo 25) è stato il cosiddetto “paradosso europeo”: tanto risparmio privato, ma poca capitalizzazione per le imprese. Perché questo mismatch è oggi così critico?

Perché mina alla base la nostra competitività. Le famiglie europee detengono grandi riserve di risparmio, ma tendono a conservarle in strumenti poco dinamici, lontani dal mondo dell’impresa. Parallelamente, le PMI — che sono la spina dorsale del nostro sistema produttivo — faticano ad accedere a capitali di rischio. È una contraddizione che si trascina da anni e che oggi, con la transizione digitale e green, rischia di trasformarsi in un freno per lo sviluppo industriale. Senza capitali, non c’è innovazione, né crescita. A ciò si aggiunge una diffusa avversione al rischio d’impresa da parte delle famiglie e un forte spiazzamento degli investimenti verso i titoli di Stato, considerati più sicuri. Il risultato è uno squilibrio sempre più difficile da sostenere, soprattutto in presenza di un debito pubblico così elevato come quello europeo.

Possiamo pensare che i finanziamenti pubblici possano ancora essere la risposta a questo gap?

No, non più. I contributi a fondo perduto non bastano. L’Europa deve puntare su capitali rotativi, investimenti privati che si rigenerano e aiutano le imprese a crescere. Il futuro della politica industriale passa da strumenti moderni, non da erogazioni a pioggia. Servono capitali pazienti e intelligenti, che aiutino le imprese a crescere in modo sostenibile. E serve una cultura d’impresa più matura, che favorisca l’investimento privato e la costruzione di valore nel lungo termine.

Altro tema forte emerso a Parigi è stato l’aggiornamento del concetto di ESG. Qual è il suo punto di vista?

È un passaggio epocale. Stiamo assistendo a un’evoluzione importante: il focus ESG, da sempre centrato sulla governance e sull’impatto sociale, oggi si amplia per includere anche il tema della difesa. In un contesto geopolitico complesso, si fa sempre più strada l’idea che sostenere imprese strategiche — comprese quelle del comparto difesa — non sia più in contraddizione con i principi ESG, ma anzi rappresenti una forma di responsabilità verso la collettività. Le imprese diventano così strumenti chiave in una strategia nazionale e comunitaria, non solo attori economici. Questo cambiamento richiede una ridefinizione delle priorità europee, dove la sicurezza, l’autonomia strategica e la resilienza industriale diventano elementi centrali.

Tornando alla vostra attività, quanto conta per voi il tema ESG?

È centrale. Ma va trattato con serietà. Per noi l’ESG non è solo un acronimo da inserire in una presentazione: è una chiave di lettura completa per valutare la sostenibilità e la solidità di un’impresa nel tempo. Troppo spesso viene ridotto a compliance o a marketing, ma noi lo affrontiamo come un filone di vera consulenza strategica. Solo una lettura organica e integrata dei fattori ambientali, sociali e di governance permette di costruire aziende più coerenti, più credibili e quindi più competitive. In questo senso, vogliamo continuare a investire tempo e competenze per far crescere una cultura ESG autentica, soprattutto nel mondo delle PMI.

Un altro vostro focus sono le startup. Che ruolo giocano nella vostra visione?

Le startup sono fondamentali, ma spesso sottovalutate nei rischi. C’è tanta energia creativa, ma senza una visione di lungo termine e senza pianificazione, il tasso di insuccesso resta altissimo. Noi vogliamo lavorare proprio su questo: strutturare le idee, dare loro forma e sostenibilità. Il nostro obiettivo è quello di accompagnare le startup in percorsi evolutivi che le portino a diventare vere imprese, capaci di stare sul mercato e attrarre capitali. Anche in questo caso, la chiave è la pianificazione, unita a una buona capacità di lettura dello scenario.

Come vede il futuro di Santucci & Partners?

Continueremo a specializzarci. Puntiamo a rafforzare la nostra offerta di consulenza strategica, integrando nuovi servizi e approfondendo tematiche come l’ESG e l’innovazione d’impresa. Non vogliamo diventare “consulenti globali”, perché non crediamo in quella retorica. Preferiamo essere specialisti di valore in settori ad alto impatto. Vogliamo essere partner reali per le imprese che guardano lontano. Il nostro obiettivo non è crescere in grandezza, ma in profondità. Rimanere indipendenti, strutturati, credibili. E portare una consulenza di altissimo livello anche in territori che, troppo spesso, vengono esclusi dalle grandi narrazioni economiche. Il Centro Italia può e deve dire la sua: perché è anche da qui che può partire un nuovo modo di fare impresa e consulenza, più vicino ai territori ma con lo sguardo ben rivolto al mondo.