La selfite è una malattia vera e propria. Come si nota facilmente dal nome, questa sindrome si riferisce a tutti quegli individui che non possono fare a meno di postare selfie in maniera piuttosto ossessiva. Come un bisogno insomma. E c’è da scommettere che è tutto vero considerando i profili di persone che sembrano passare la propria vita sui social postando selfie di ogni atto quotidiano. Per questi soggetti la verità è impietosa: soffrono di selfite e vanno curati. A sostenerlo uno studio pubblicato sull’International Journal of Mental Health and Addiction, della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management in India che ha addirittura parlato di tre categorie di selfite: la cronica, la acuta e la borderline.
La selfite cronica è senz’altro la peggiore insieme a quella acuta: chi ne soffre ha un continuo bisogno di scattarsi fotografie e postarle su Facebook e Instagram più di 6 volte al giorno, la acuta prevede che i soggetti si scattino di continuo foto e tutte vadano postate mentre la selfite borderlineprevede solo 3 selfie al giorno non sempre pubblicati sui social ma tenuti per sé. Per arrivare a questo risultato, i ricercatori hanno svolto un sondaggio su oltre 400 persone ponendo delle domande sotto forma di affermazioni a cui dare un punteggio. Ad esempio Fare selfie migliora il mio umore e mi fa sentire felice o Mi sento più popolare quando pubblico i miei selfie sui social media, Ho un’idea migliore di me stesso quando mi faccio i selfie o Uso gli strumenti di fotoritocco per migliorare il mio selfie in modo da sembrare migliore di altri.
I ricercatori coinvolti pensano che “le persone che fanno i selfie lo fanno per migliorare il loro umore, attirare l’attenzione su se stessi, aumentare la loro autostima e connettersi con il loro ambiente. In genere, coloro che soffrono della condizione presentano di mancanza di fiducia in se stessi e cercano di adattarsi a coloro che li circondano, mostrando sintomi simili ad altri comportamenti potenzialmente coinvolgenti.”
Motivazioni che sembrano poi spingere verso un disturbo mentale vero e proprio se si va verso l’esagerazione. Non tutti però sono concordi. Mark Salter del Royal College of Psychiatrists pensa che la selfite non esiste: “C’è una tendenza a cercare di etichettare un’intera gamma di comportamenti umani e complessi con una sola parola, ma è pericoloso perché può dare un’idea di realtà che non esiste”. Forse non esisterà ma certo è che questa crescita esponenziale di selfie in tutti i luoghi o davanti allo specchio non rispecchia propriamente un individuo del tutto equilibrato.