Era lungo una ventina di centimetri, con coda e zampe robuste. Sull’albero genealogico dei rettili si è arrampicato con grande agilità, fino a raggiungere il vertice del suo ordine: gli squamati. Il fossile che oggi Nature pubblica sulla sua copertina è l’antenato di tutti i serpenti e le lucertole. Si chiama Megachirella wachtleri. E’ stato trovato sulle Dolomiti, in Val Pusteria e oggi è conservato al Museo di scienze naturali di Bolzano. Nei suoi precedenti 240 milioni di anni, in realtà, era rimasto incastonato in una roccia di Prà della Vacca, vicino Braies. Oggi un’analisi avanzatissima ha ricostruito la sua anatomia senza bisogno di estrarlo dalla roccia, stabilendo che l’origine degli squamati è di 75 milioni di anni più antica rispetto a quanto si pensasse sulla base dei fossili precedenti.
A chi fosse riuscito a leggere fra gli strati di carbonati che lo intrappolavano, il fossile di Megachirella prometteva di raccontare la storia di un’epoca antichissima. Al posto delle Dolomiti, all’inizio del Triassico, c’era un atollo tropicale. I dinosauri cominciavano appena a calcare la terra. Gli squamati (rettili, lucertole normali e un particolare tipo di lucertole senza zampe) erano comparsi nel mondo da una manciata di milioni di anni, sopravvivendo alla più grave fra le estinzioni di massa avvenute sulla Terra. Durante la crisi del Permiano-Triassico (intorno a 252 milioni di anni fa) scomparvero infatti il 90% delle creature del mare e il 70% dei vertebrati terrestri.
In qualche modo gli antenati di Megachirella sopravvissero. Si ritrovarono in un ambiente caldo e umido a circa dieci gradi di latitudine nord, con arcipelaghi e lagune di mare poco profondo. L’esemplare di Prà della Vacca andò probabilmente troppo vicino alle onde del mare durante una tempesta. Ebbe la sfortuna di finire sott’acqua, per riemergere in un affioramento di carbonati a 1.500 anni di altezza molti milioni di anni dopo. Qui, nel 1999, fu trovato da Michael Wachtler, soprannominato “l’Indiana Jones della Val Pusteria”, cacciatore di fossili e cultore della storia delle Dolomiti, fondatore di un museo privato a San Candido. Megachirella prese la seconda parte del nome (wachtleri) dal suo scopritore, che nel frattempo si ritrovò nei guai con la giustizia per presunto possesso illegale di materiale paleontologico.
Portato al museo di Bolzano, il fossile venne per quasi vent’anni classificato come un esemplare “lepidosauromorfo non squamato”. Lontano, sembrava, da quelle lucertole e quei serpenti che nel frattempo riempivano di grattacapi i paleontologi. Con le loro 10mila specie (il doppio dei mammiferi), gli squamati rappresentano infatti uno degli ordini più ricchi e complicati della natura. I fossili più antichi risalivano a 168 milioni di anni fa, ma le analisi che recentemente permettono di ricostruire “a tavolino” l’albero genealogico delle specie e la presenza in epoca triassica di una specie sorella suggerivano un’origine molto più antica: intorno ai 250 milioni di anni. Nel puzzle della vita del triassico restava un’enorme casella vuota.
Per riempirla è “bastato” portare Megachirella a Trieste. Qui, nel laboratorio del Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam, il fossile è stato “liberato” dalla roccia che lo imprigionava e ha potuto finalmente raccontare la sua storia. Si è trattato in realtà di un esame virtuale: nessuno ha toccato il reperto. Megachirella ha mostrato il suo volto nascosto dalla pietra grazie a una sorta di Tac molto avanzata, la microtomografia computerizzata a raggi X, alla quale hanno collaborato anche Elettra-Sincrotone di Trieste e il Centro Fermi di Roma. Dall’analisi sono emersi nuovi particolari dell’anatomia dell’antico animale (soprattutto nella mandibola e nelle zampe) che lo scalzano dalla posizione di lepidosauromorfo e lo collocano senza ombra di dubbio fra gli squamati. “Questo piccolo animale può essere considerato tra i più importanti resti fossili del nostro paese” dice Massimo Bernardi, paleontologo del Muse, il Museo della Scienza di Trento, coautore dello studio di Nature, fra i primi a descrivere Megachirella nel 2013. “Per i paleontologi di tutto il mondo, sarà d’ora in poi un punto di riferimento, la stele di Rosetta per comprendere l’evoluzione dei rettili”. Federico Bernardini, ricercatore del Centro Abdus Salam di Trieste e del Centro Fermi di Roma, racconta così l’emozione dei ricercatori: “Siamo stati i primi, dopo milioni di anni, a poter analizzare la faccia nascosta di Megachirella, quella inglobata nella roccia”.
fonte: http://www.repubblica.it/scienze/2018/05/31/news/scoperta_la_madre_di_tutte_le_lucertole-197847345/