ANTONIO PRADE – LA TUTELA DEL MADE IN ITALY

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La normativa in materia di “Made in Italy”, adottata per tutelare l’eccellenza del manifatturiero italiano e proteggerlo dalle aggressioni dei concorrenti extra europei, è volta ad equilibrare interessi contrapposti: quelli del produttore, interessato a non subire la concorrenza sleale ed a tutelare la propria capacità concorrenziale; e quelli del consumatore, la cui buona fede e diritto di informazione devono essere preservati. Tali esigenze devono armonizzarsi con la politica adottata dalla Unione europea, volta ad evitare restrizioni alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci.

Avv. Prade, quali sono gli aspetti salienti della normativa sul made in Italy?

La tutela legislativa del made in Italy è stata per la prima volta prevista dall’art. 4.49 della legge 350 del 2003 (legge finanziaria del 2004) ed è stata ricondotta all’interno del delitto di frode di cui all’art. 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci). Tale norma, introdotta essenzialmente al fine di contrastare il fenomeno della delocalizzazione, ha presentato sin da subito una serie di rilevanti problematiche interpretative, conseguenti, da un lato, alla mancanza di una premessa definitoria, e, dall’altro, alla difficoltà di coordinamento sistematico delle stesse fra ordinamento nazionale ed ordinamento unionale. La Corte di Cassazione è quindi intervenuta in numerose pronunce dettando linee di indirizzo per rendere coerente il predetto assetto. Il legislatore, dal canto suo, ha ripetutamente modificato ed integrato la norma di cui all’art. 4.49, introducendo in particolare nel 2009 la norma di cui all’art. 4.49 bis con la quale è stata sanzionata in via solo amministrativa la violazione commessa a seguito dell’uso di marchi registrati ingannevoli sull’origine. Ad oggi rimane ancora aperto poi il problema della interpretazione adeguatrice alle norme U.E., tanto che sono attualmente pendenti i due procedimenti E.U./PILOT di pre-infrazione, dato che le menzionate norme (4.49 e 4.49 bis) avrebbero dovuto essere notificate alla Commissione in quanto suscettibili di influenzare la libera circolazione delle merci nell’ambito unionale. Tali norme sono state anche denunciate sotto il profilo di una loro possibile applicabilità soltanto a tutela dell’origine italiana, dal quale potrebbe scaturire un potenziale effetto neoprotezionistico: anche sotto tale aspetto si attende infatti una pronuncia a livello europeo.

Da svariati anni ormai, il suo Studio fornisce consulenza e assistenza in tema di tutela del made in Italy.

Lo Studio ha avuto occasione di occuparsi ripetutamente delle norme a tutela del made in Italy, con un focus particolare sul settore dell’occhialeria.  A questo proposito, va segnalata la sentenza nr.46886 del 2007 (i cui principi non sono poi mai più stati messi in discussione), con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito il principio in forza del quale, al fine di valutare la legittimità della indicazione made in Italy su montature per occhiali, si deve far riferimento non solo all’ultima fase di lavorazione, ma all’intero processo produttivo, in particolar modo a quello comprensivo delle iniziali fasi ideative e progettuali.

Lo Studio ha avuto anche modo di collaborare nella redazione della proposta del Codice di Condotta Anfao con il quale sono state stabilite le nuove linee guida per gli associati nell’applicazione delle norme a tutela del made in Italy. Di cosa si tratta?

Tali linee guida sono state fondate sul principio, frutto per l’appunto dell’insegnamento della Cassazione, per il quale il marchio made in Italy non tutela soltanto le produzioni effettuate interamente in territorio italiano, ma si riferisce anche a quelle produzioni che, in parte delocalizzate, trovano però il loro elemento qualificante nelle caratteristiche che ad esse vengono conferite dal produttore italiano. Trattasi di caratteristiche che possono consistere in plurimi elementi, che variano a seconda della natura dei prodotti e che non possono essere codificate in via generale ed astratta: in alcuni casi l’elemento preponderante che qualifica il prodotto come “italiano” deriverà dalla sua progettazione o dal suo design, in altri casi dalla brevettazione della scoperta che costituisce la peculiarità del prodotto, in altri ancora dalla qualità e – o specializzazione della lavorazione piuttosto che dalla materia prima impiegata. Il giudizio, inoltre, circa la correttezza dell’uso del marchio made in Italy deve avere riguardo non solo alle attività svolte dal produttore italiano successivamente alla importazione delle componenti, ma all’intero processo produttivo, ivi comprendendo, quindi, anche la progettazione, le istruzioni impartite per le lavorazioni svolte altrove, la qualità dei materiali impiegati e il livello di tecnologia necessario per giungere al risultato finale.

di Roberta Imbimbo