La sindrome da stanchezza cronica, che è una vera e propria malattia che affligge milioni di persone nel mondo, può essere definita come la mancanza di energia vitale che finisce per compromettere le attività quotidiane e lavorative. E’ una condizione di sfinimento che distorce la realtà e rende profondamente vulnerabili. “Per questo motivo deve essere affrontata tempestivamente e nel modo corretto”, afferma il Prof. Vito Covelli, un neurologo molto rinomato nel panorama mondiale,  altamente specializzato in Malattie del Sistema Nervoso. Un luminare della materia che ha speso la sua vita per la medicina e la ricerca.

di Roberta Imbimbo

Prof. Covelli, cosa si intende per stanchezza cronica?

La stanchezza è una patologia che non deve essere assolutamente sottovalutata, poiché nelle sue forme più gravi può essere fortemente debilitante, provocando disregolazione nei processi psicofisiologici e del comportamento. E’ spesso la conseguenza della convinzione di dover rispondere tempestivamente ed opportunamente alla enorme quantità di stimoli e sforzi di natura cognitiva ai quali si è sottoposti ogni giorno. La società contemporanea, infatti, spinge ad essere sempre più pronti e performanti e, a questa continua pressione, il cervello risponde con una condizione di affaticamento mentale. La fatica è quindi un vero e proprio sfinimento, una spossatezza generale che sembra non avere fine. Soprattutto in questo periodo di emergenza pandemica, questa patologia ha raggiunto picchi elevatissimi e preoccupanti:  tantissime  persone si sentono oggi sempre più stanche, affaticate, demotivate, prive di qualsiasi energia ed entusiasmo, come imprigionate in un loop di pensieri negativi e di immobilismo. Quando la razionalità cede il passo all’emotività, ci si convince di non avere il controllo della propria vita e di essere in balia di eventi che non si possono controllare.

Con quali sintomi si manifesta questa patologia? E quali le cause?

I sintomi, che sono di difficile inquadramento e che spesso vengono erroneamente confusi con quelli della depressione, possono andare dalla difficoltà di concentrazione alla mancanza di motivazione (apatia) fino all’impossibilità soggettiva ed oggettiva di portare a termine una data attività. Il cambiamento del ciclo veglia/sonno, ad esempio, è uno dei primi sintomi da considerare poiché impatta direttamente sulla nostra salute mentale e sul nostro metabolismo portandoci a essere in uno stato di continua spossatezza e irritabilità. Vari fattori possono determinare questo disturbo: l’affaticamento fisico, lo stress cronico, l’abuso di alcool ed ansiolitici, un problema occulto, l’anemia ed altre malattie gravi (si pensi ad esempio al cancro, all’artrite reumatoide, alla tubercolosi, al diabete, all’epatite) possono determinare sintomi aspecifici come ansia ed irritabilità che influenzano funzioni cognitive e umore, portando ad uno stato di costante stanchezza mentale. Tra le altre cause, anche la sindrome di Simmonds, nota come cachessia globale, consistente in un ipopituitarismo molto raro, dovuto al malfunzionamento del lobo anteriore dell’ipofisi. In estrema sintesi, tutto ciò che tende ad esaurire le energie, le risorse emotive e quelle energetiche, può indurre una persona a sentirsi mentalmente esausta.

Lei come si approccia ai suoi pazienti?

Osservando scrupolosamente la persona che mi trovo difronte, prendendo a cuore la sua richiesta di aiuto, ponendomi in uno stato di ascolto ed osservazione attivi. Il saper ascoltare attentamente chi attraversa un momento difficile, il voler sapere esattamente con chi mi sto interfacciando, il saper intuire i bisogni nascosti dei miei interlocutori, è un grande valore aggiunto al servizio dei miei pazienti, perché contribuisce senza ombra di dubbio a creare una preziosa empatia necessaria a migliorare l’alleanza terapeutica e diagnostica (quest’ultima si focalizza su indagini ad ampio spettro –  come l’emocromo, gli indicatori di infezioni ed infiammazioni, gli esami radiologici – finalizzate ad individuare il percorso terapeutico più opportuno al caso specifico).

Dopo essersi specializzato in Malattie dell’apparato Cardiovascolare nel lontano 1978, ha poi deciso di  specializzarsi in Malattie del Sistema Nervoso presso l’Università degli Studi di Bari nel 1982. Come mai questa scelta?

Sono innamorato della medicina da quando ero fanciullo e non l’ho mai tradita perché fermamente convinto che un medico deve indossare il camice bianco sino al suo ultimo giorno di vita. Ho scelto questa specializzazione perché il cervello è il cuore della nostra vita; è un organo estremamente complesso ed immenso che ci fa andare dove non potremmo mai immaginare di andare, cioè verso l’infinito, lì dove è possibile spaziare liberamente con la nostra fantasia. Il cervello, che guida ogni azione del corpo umano, è soprattutto la sede di generazione del pensiero in tutte le sue manifestazioni emozionali e cognitive: la grandezza dell’uomo sta proprio nella sua capacità di pensare, di riflettere, di ragionare, di progettare il futuro in modo pragmatico e nondimeno di potersi connettere agli altri. Quest’organo straordinario, paragonabile ad una grande orchestra con musicisti che pur suonando strumenti diversi danno vita ad una sinfonia meravigliosa, mi ha offerto un campo di studio, di indagine e di interazione con l’umanità molto ampio. Pur amando molto la cardiologia, ho preferito quindi lavorare su un organo decisamente più complesso, perché senza un cervello il cuore può pompare inutilmente, per il numero e la complessità delle malattie di cui si occupa la Neurochirurgia e per gli infinti campi di ricerca che essa offre. E’ una passione che coltivo da circa quarant’anni, per la quale molto mi sono speso, per amore di quei pazienti a cui ho dedicato e continuerò a dedicare tutta la mia vita, studiando e aggiornandomi con la curiosità e l’integrità di un bambino.

 

Per maggiori info (https://www.vitocovelli.it)