Il 1995 E GLI ANNI intorno segnarono una transizione di fase della medicina. Sono gli anni del prima e dei suoi successi conclamati – l’allungamento della vita media, l’identificazione degli stili di vita dannosi, la bella vittoria sulle malattie cardiovascolari, l’idea che sì, il cancro si può combattere – e del dopo con le speranze dettate dall’immarcescibile ottimismo degli scienziati che entrano un una nuova era – quella della biologia molecolare, dei geni delle staminali e dell’hi-tech chirurgico e diagnostico.
Nel bel mezzo di quella transizione di fase nasceva, voluto da Eugenio Scalfari e curato da Guglielmo Pepe, il supplemento Salute di Repubblica. Si chiamava la mia Salute e andò in edicola il 5 maggio del 1995, poco meno di ventitre anni a oggi che si sono concretizzati in 1000 fascicoli nei quali c’è in presa diretta la storia della grande trasformazione. Ed è proprio questa trasformazione che raccontiamo col nostro numero 1000, che potrete trovare dentro Repubblica martedì prossimo. Perché una cosa è certa nulla oggi è come era quel 5 maggio. Quando già, però, tutto bolliva in pentola nei laboratori, per lo più d’oltreoceno. Dove Harold Varmus aveva già vinto il premio Nobel (insieme a Michael Bishop nel 1989) per aver intuito che il cancro è una malattia genetica; le conseguenze oggi di quella intuizione le racconta lo stesso Varmus martedì su RSalute. E dove tutte le università e i grandi laboratori erano impegnati nello Human Genome Project, varato dal presidente George W Bush (senior) nel 1990 con una dotazione di 3 miliardi di dollari tra mille polemiche. Perché il fior fiore dell’intelligentsia biologica storceva il naso: una voce per tutte quella del grande Richard Lewontin che definì il genoma umano un’illusione perché c’è molto di più in un essere umano di quanto non si possa leggere in una stringa di Dna.
Impossibile dare torto a Lewontin, proprio oggi che assistiamo in rapida progressione al fallimento della speranza di mettere le mani sul cervello, correggerlo con farmaci capaci di arrestarne la degenerazione o le dolorose deviazioni dalla norma. E martedì su RSalute ci racconta com’è andata il premio Nobel Eric Kandell, l’uomo che ha collegato per primo la natura biologica della nostra mente ai ricordi, quindi alle esperienze individuali, e che per noi guarda al futuro scommettendo proprio sul cervello umano che sarà capace di leggersi coniugando biologia e umanità.
Ma è anche impossibile dare ragione a Lewontin mentre assistiamo al trionfo della genomica che cambia il destino naturale delle malattie, dal cancro a quelle autoimmuni. Tanto che viene da pensare che la lezione di questi vent’anni è proprio il relativismo che, buona ultima, la medicina fa proprio. Non c’è certezza quando si cerca di fermare le malattie, quando si cerca di scrivere regole auree e assolute da seguire. Non c’è bianco né nero al letto del malato. Come ci racconta martedì il premio Pulitzer Siddhartha Mukherjee quando segue il destino rabbioso di una sperimentazione fallita nonostante le premesse sembrassero certe.
Il 5 maggio del 1995 la medicina sembrava trionfante, non era ancora sotto lo schiaffo del paziente informato; i professori agivano senza timori e a nessuno veniva in mente di chiederne conto; e gli italiani si vaccinavano tutti tanto che nel 1999 la copertura era tale che venne soppresso il divieto di frequenza scolastica per i non vaccinati. Cosa ha creato lo scompiglio di oggi? Chiunque pensi a Internet potrà ricredersi riflettendo sulle parole di Eric Topol, forse il massimo esperto mondiale di medicina on line, che troverete martedì sul nostro giornale. Dove potrete scoprire che anche la cardiologia, la vera regina della medicina di fine secolo, in questi vent’anni ha cambiato faccia grazie a una batteria di farmaci e tecniche di precisione, e a tecnologie impensabili vent’anni fa. Come quelle che oggi rendono “normale” la vita di una persona con diabete.
Quando, pochi mesi dopo l’uscita del primo numero di Salute, ci ritrovammo accanto malati di Aids che pensavamo di non rivedere più, il senso di onnipotenza fu assoluto: una combinazione di farmaci fermava la peste del secolo; la chiamavamo “triplice” perché era la combinazione di tre farmaci antiretrovirali. Bastava nominarla perché il cuore scoppiasse di felicità, un’intera generazione di nostri coetanei era salva. Oggi Stefano Vella, uno dei protagonisti di quelle battaglie, ci racconta che l’Aids ha scoperchiato il grande tema della salute globale – non staremo mai bene se non stiamo bene tutti perché le grandi epidemie non conoscono confini – e poi ha fornito un modello operativo per dare concretezza all’utopia.Il finire del secolo scorso ha segnato la svolta e ha aperto la finestra sul nuovo millennio: ancora non sappiamo cosa ci riserverà ma sul nostro fascicolo di martedì abbiamo chiesto ai maggiori esperti delle discipline più calde di raccontarci in 24 pagine cosa si intravvede oggi
Fonte http://www.repubblica.it/salute/medicina/2018/02/23/news/20_anni_di_salute-189385947/