Il cheratocono, malattia degenerativa della cornea, si manifesta generalmente nell’adolescenza, per poi progredire in buona parte dei casi fino ai 30-35 anni. “Diagnosi precoce, misure preventive e trattamento tempestivo e mirato possono ridurre il rischio di progressione e di insorgenza di complicanze” asserisce il dott. Salvatore Troisi, dirigente medico di Oculistica presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno e referente dell’Azienda per le malattie rare oculari. Un esperto della materia, che nel corso della sua carriera professionale ha acquisito una notevole esperienza nel trattamento delle patologie del segmento anteriore e della superficie oculare, sulle quali ha pubblicato numerosi contributi scientifici. Da oltre 30 anni si dedica attivamente ai vari settori dell’oftalmologia, quali la microchirurgia della cataratta, il glaucoma, il cheratocono, la correzione laser dei difetti visivi, management dell’occhio secco e delle infiammazioni oculari; è relatore in eventi scientifici nazionali ed internazionali e ha partecipato a studi su protocolli innovativi per il trattamento conservativo del cheratocono.
di Roberta Imbimbo
Dott. Troisi, può spiegarci cos’è il cheratocono?
E’ una malattia degenerativa della cornea, la membrana trasparente che compone la parte anteriore del bulbo oculare e che costituisce la prima lente naturale dell’occhio. Nello specifico, la patologia presenta un andamento progressivo, per una ridotta rigidità e resistenza della sua struttura collagene, che si assottiglia e si deforma nella parte centrale, conferendo alla cornea una conformazione a cono. Viene considerata una malattia rara, poiché colpisce circa 2 persone su 1000, in modo più o meno grave, con un’incidenza maggiore in età evolutiva e in alcune famiglie, per la presenza di fattori genetici predisponenti. Predilige i soggetti allergici, per l’abitudine di strofinare gli occhi che prudono, fattore che favorisce una progressiva deformazione della cornea. Se non diagnosticata tempestivamente o non trattata in modo corretto, può portare al trapianto di cornea.
Con quali sintomi si manifesta? E come viene diagnosticata?
Generalmente il cheratocono colpisce entrambi gli occhi, spesso con differente livello di gravità. I primi sintomi sono legati alla protrusione in avanti della cornea; la maggiore curvatura che si viene a creare determina rapide variazioni del difetto visivo, distorsioni delle immagini e unavisione confusa sia da vicino che da lontano, per la formazione di un astigmatismo irregolare. La diagnosi viene confermata dalla topografia corneale, un esame ambulatoriale, non invasivo, che permette di individuare e di quantificare le anomalie della curvatura sui vari meridiani. Con la tomografia corneale è possibile ottenere anche una misura dello spessore in ogni suo punto, mappe delle aberrazioni ottiche e della curvatura posteriore della cornea, dove compaiono le alterazioni più precoci, permettendo di rilevare anche le forme più lievi della malattia e di documentarne l’evoluzione.
Quali sono le ultimissime novità nel trattamento di questa patologia?
Nei casi più avanzati, allorquando non si riesce ad ottenere una correzione sufficiente con occhiali o con apposite lenti a contatto ovvero se l’assottigliamento del tessuto corneale diventa estremo, con rischio di perforazione, è necessario effettuare un trapianto di cornea. Oggi, accanto alla cheratoplastica perforante, utilizzata quando la patologia investe la cornea in tutto il suo spessore, esistono procedure lamellari grazie alle quali viene sostituita unicamente la parte malata, lasciando in situ la porzione sana, con minori rischi di complicanze. Nei casi meno gravi, in fase evolutiva, è possibile ricorrere al Cross Linking Corneale (CXL), una procedura parachirurgica che mira a stabilizzare il cheratocono. Si tratta di un trattamento innovativo a bassa invasività, ideato nel 2006 in Germania, ma successivamente utilizzato in tutto il mondo, che si effettua in anestesia locale e prevede l’assorbimento da parte del tessuto corneale di una soluzione a base di Vitamina B2 (riboflavina) e successiva attivazione con raggi UVA; ne consegue una reazione di fotopolimerizzazione delle lamelle collagene tale da irrigidire la struttura della cornea ed evitare la progressione della malattia. Accanto al protocollo originario, in cui viene asportato l’epitelio corneale, sono state introdotte nuove metodiche di imbibizione della riboflavina meno invasive, come la Iontoforesi, con numerosi vantaggi per il paziente. Recentemente, nell’ambito di uno spin off condotto con l’Università Federico II di Napoli, abbiamo messo a punto un protocollo di trattamento personalizzato, rapido e meno invasivo, con risultati molto promettenti. In conclusione, le attuali possibilità di bloccare il cheratocono ad uno stadio iniziale richiedono una diagnosi precoce, che consente trattamenti conservativi con buoni risultati. A tal fine sono consigliabili visite oculistiche periodiche, soprattutto in caso di familiarità per la malattia.