La sindrome dell’ovaio policistico colpisce circa il 5-10% delle donne in età riproduttiva ed è la principale causa di infertilità femminile. A parlarci delle ultime frontiere nel trattamento di questa patologia molto frequente è la dott.ssa Daniela Galliano, Ginecologa ed esperta in Medicina della Riproduzione, direttrice del centro IVI di Roma, un’eccellenza nel panorama sanitario nazionale ed internazionale che, dal 1990 (anno della sua fondazione) ad oggi, ha contribuito alla nascita di oltre 250.000 bambini grazie alla costante innovazione e realizzazione dei trattamenti più innovativi della riproduzione assistita.
di Roberta Imbimbo
Dott.ssa Galliano, che cos’è la sindrome dell’ovaio policistico? E quanto è diffusa oggi questa patologia?
La sindrome dell’ovaio policistico interessa circa il 10-13% delle donne in età riproduttiva ed è una delle principali cause di infertilità femminile. E’ caratterizzata da un aumento delle dimensione delle ovaie, all’interno delle quali si formano delle piccole cisti follicolari che portano ad anovulazione, ad una disfunzione ovulatoria e a livelli eccessivi di androgeni, in particolare di testosterone e androstenedione. I sintomi possono variare da donna a donna e tra i più comuni vi sono: dolore pelvico, obesità anche lieve, irregolarità del ciclo mestruale, amenorrea, sbalzi di umore, irsutismo su viso e petto, perdita di capelli o aumento del peso corporeo con difficoltà nel dimagrimento. Tali sintomi tendono ad aggravarsi con il tempo. Ecco perché la diagnosi precoce riveste un ruolo fondamentale sia per evitare la cronicizzazione di una patologia che può avere conseguenze anche gravi, come diabete, problematiche cardiovascolari, ipertensione, iperlipidemia e tumore all’endometrio, sia per intervenire con trattamenti sempre più mirati e personalizzati. Le cause di tale sindrome sono ancora oggi sconosciute, anche se ricerche scientifiche tendono a ritenere che un ruolo importante possa essere rivestito da fattori ereditari e/o ambientali e soprattutto da un eccesso di insulina. Esiste infatti un filo rosso sottile che lega i kili di troppo a tale sindrome.
Quest’ultimo punto è molto interessante. L’insulino-resistenza è dunque uno dei punti cardine della sindrome metabolica, che a sua volta è coinvolta nell’eziopatogenesi della sindrome dell’ovaio policistico, frequente causa d’infertilità anovulatoria. Come comportarsi in questi casi?
Negli ultimi anni noi in IVI abbiamo dato sempre maggiore rilevanza alla cura della sindrome metabolica proprio perché, come detto, ha ripercussioni importanti sull’asse riproduttivo femminile. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che l’obesità ad essa associata allungherebbe i tempi per ottenere una gravidanza e avrebbe un impatto negativo anche sugli esiti delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Essa infatti può prolungare la durata dell’induzione dell’ovulazione, può diminuire il numero di follicoli maturi e ovociti recuperati ed aumentare il tasso di annullamento del ciclo. Ecco perché è innanzitutto importante risolvere il problema metabolico (con una dieta equilibrata a basso indice insulinico e attività sportiva) e solo successivamente quello riproduttivo. In caso contrario, il rischio di fallimento sarebbe elevato.
Una volta risolto il problema metabolico, cosa può succedere? Quali gli scenari possibili?
Soprattutto a causa dell’effetto negativo sulla regolarità del rilascio dell’ovulo (amenorrea, oligomenorrea e altre problematiche legate alla puntualità del ciclo mestruale) le donne che soffrono della sindrome dell’ovaio policistico possono impiegare più tempo nella ricerca della gravidanza; solo quando l’ovulazione di regolarizza è possibile rimanere incinta. Come detto, una buona alimentazione ed un costante esercizio fisico possono aiutare a normalizzare il ciclo mestruale e di conseguenza aumentare la possibilità di avere una gravidanza in maniera naturale. Altre volte, invece, è necessario intervenire con la somministrazione di farmaci per stimolare l’ovulazione e facilitare così la gestazione. Ovviamente esiste un trattamento di cura personalizzato che dipende sempre dalla storia clinica di ogni singola paziente. Una volta che l’ovulazione si regolarizza, se la paziente non riesce a rimanere incinta in modo naturale, è possibile ricorrere ad un trattamento di riproduzione assistita come l’inseminazione artificiale o la fecondazione in vitro (FIV), a seconda del caso.
IVI in questo ambito si conferma un’eccellenza nel panorama sanitario nazionale ed internazionale. Oltre 250.000 i bambini nati grazie alle tecniche più moderne in riproduzione assistita.
Esattamente! Presente con oltre 75 cliniche in 7 Paesi del mondo (Italia, Spagna, Portogallo, UK, Stati Uniti, Panama e brasile), grazie alla modernità delle dotazioni diagnostiche e alle elevate competenze di uno staff medico di alto livello, IVI è uno dei Centri europei con i migliori tassi di gravidanza. Infatti, 9 coppie su 10 che ci consultano per problemi di infertilità raggiungono il loro obiettivo di essere genitori, dopo un ciclo di trattamenti completo e personalizzato. Nel 2020 IVI ha aperto una nuova Clinica a Roma. Si tratta di una struttura di terzo livello, dove possono essere effettuati tutti i trattamenti di fecondazione assistita, anche la fecondazione in vitro (FIV), l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI) e la fecondazione eterologa, per la quale IVI può contare sulla più grande banca di ovociti al mondo, confermandosi uno dei Centri più all’avanguardia nel trattamento dell’infertilità.
Per maggiori info (https://ivitalia.it)