Sergio di Meo, noto commercialista di Aversa, particolarmente qualificato nella consulenza del lavoro e legale alle piccole e medie imprese italiane (PMI), in questa lunga intervista parla della necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali che preveda una semplificazione delle procedure e un ampliamento del perimetro dei soggetti coinvolti e delle politiche attive del lavoro che fino ad oggi hanno funzionato solo ed esclusivamente come sostegno assistenziale.

Dott. Di Meo, quali impatto ha avuto il Covid sul sistema degli ammortizzatori sociali?

L’emergenza pandemica del 2020 ha messo a nudo tutti i limiti dell’attuale sistema degli ammortizzatori sociali in Italia. L’ultima riforma degli AA.SS. avuta con la Legge 148/2015 ha mostrato carenze strutturali che hanno penalizzato fortemente le aziende ma soprattutto i lavoratori che hanno dovuto aspettare tempi biblici per l’erogazione del trattamento salariale. L’attuale struttura degli AA.SS. prevede essenzialmente interventi differenti in funzione della tipologia dell’azienda richiedente :

  • CIG/CIGS per aziende industriali e per aziende commerciali con più di 50 dipendenti.
  • FIS per aziende commerciali con una media dell’organico superiore a 5 dipendenti.
  • FSBA per gli artigiani.
  • CISOA per l’agricoltura.
  • CIGD per tutte le categorie residuali per le quali non opera alcun A.S.

Come si può osservare questa eterogeneità di trattamenti diversi  ha come naturale conseguenza anche una diversa modalità di presentazione della richiesta che molto spesso, se non addirittura sempre, è completamente diversa a seconda dei singoli casi. Si pensi che nell’emergenza Covid  i professionisti si sono imbattuti in circa 25 modi diversi di presentare istanza per chiedere fondamentalmente la stessa cosa, ovvero il trattamento di integrazione salariale. Si tratta di un vero e proprio paradosso, considerando che il D.L. 148 aveva apportato modifiche importanti alla precedente riforma quali l’estensione dei trattamenti di integrazione salariale agli apprendisti che fino alla data di entrata in vigore del D.L. erano di fatto esclusi dal trattamento di integrazione salariale. Era stata anche rivista la durata  del trattamento ordinario e straordinario che da 36 mesi nel quinquennio fisso è stata portata a 24 mesi nel quinquennio mobile incoraggiando però l’utilizzo del contratto di solidarietà computando per la metà i relativi periodi.

Quali altri importanti novità ha introdotto il D.L. 148?

Diverse le novità introdotte, quali la rivisitazione del contributo addizionale e il limite dell’autorizzazione delle sospensioni non oltre il massimo dell’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva;  il meccanismo di responsabilizzazione delle imprese, previsto prima solo per la CIGS , è stato esteso anche alla CIGO con aliquote maggiorate che vanno dal 9% della retribuzione persa per i periodi di cassa sino ad un anno passando al 12% sino a due anni per finire al 15% sino a tre anni. Per quanto concerne invece il limite dell’80% il d.l. ha previsto che non possono essere autorizzate ore di integrazione salariale ordinaria eccedenti il limite di un terzo delle ore ordinarie lavorabili nel biennio mobile. In pratica fissando tale limite si è tentato di scoraggiare l’utilizzo della cassa a zero ore. Altra novità è stata quella relativa ai contratti di solidarietà che sono diventati una causale della CIGS sia per quanto riguarda il tasso di copertura all’80% sia per quanto riguarda l’applicazione del massimale che nella normativa previgente non era previsto.

Quali problemi riscontra nell’intera procedura della CIG?

Il vero punto complesso dell’intera procedura riguarda il meccanismo di presentazione ed autorizzazione del trattamento di integrazione salariale. Partendo dalla comunicazione preventiva alle RSA nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale per arrivare  al decreto di autorizzazione passano circa 90/120  giorni durante i quali le aziende che si trovano in crisi quasi mai riescono ad assolvere puntualmente gli impegni con le maestranze.  Altro punto molto dolente riguarda certamente i tempi di erogazione del trattamento quando lo stesso è erogato direttamente dall’Inps. Per tutte le tipologie di trattamento richieste, la media dei giorni di attesa dei lavoratori è stata di circa 90  dall’inizio del trattamento. Ciò principalmente per la complessità della procedura che prevede passaggi infiniti che  potrebbero essere tranquillamente bypassati con procedure più snelle ed elastiche. Basti citare, a titolo di esempio, l’invio dei mod. SR 41 che solo successivamente all’autorizzazione dell’A.S. deve essere inoltrato dalle aziende per poi poter permettere il pagamento delle spettanze ai lavoratori. Informazioni del mod. SR41 che già sono in possesso delle sedi Inps attraverso il flusso uniemens che ogni mese viene inviato telematicamente dalle aziende! La situazione quindi allo stato attuale si presenta alquanto complessa in quanto non adempie certamente alle esigenze temporali delle aziende e dei lavoratori in merito all’autorizzazione e alla relativa erogazione dei trattamenti integrativi salariali.

In questo contesto, è più che mai necessaria una riforma degli ammortizzatori sociali?

Assolutamente sì! Urge una riforma completa non solo degli ammortizzatori sociali che preveda una semplificazione delle procedure e un ampliamento del perimetro dei soggetti coinvolti ma anche delle politiche attive del lavoro che fino ad oggi hanno funzionato solo ed esclusivamente come sostegno assistenziale. Si dovrà quindi tendere essenzialmente alla più volte invocata universalità del trattamento creando un unico ammortizzatore che soddisfi le esigenze di tutte le aziende indipendentemente dalla loro natura e soprattutto di tutti i lavoratori. La crisi del Coronavirus ha mostrato in effetti la necessità di allargare la rete di protezione sociale ed economica anche a quei lavoratori che non sono coperti dall’attuale meccanismo degli AA.SS.; in pratica un restyling a tutto campo dove si ipotizzi una CIGS per tutti i settori produttivi , una cassa ordinaria più estesa , lo stop a FIS e Cigd , ammortizzatori anche per gli autonomi e soprattutto un massimale più alto in modo da garantire ai lavoratori un sussidio equo. In pratica un’universalità del trattamento che possa trovare applicazione a tutte le imprese in difficoltà a pari condizioni. Il tutto passa anche attraverso due vie essenziali :

  1. Semplificazione delle procedure.
  2. Riforma delle politiche attive del Lavoro.

Per quanto concerne il primo punto sarebbe essenziale innanzitutto rivedere il computo del periodo massimo di fruizione della CIG calcolato non più a settimane e su singola azienda ma calcolata ad ore e per singolo dipendente. Tale modalità permetterebbe un uso più oculato della CIG soprattutto in momenti di flessione del lavoro ottenendone un vantaggio rispetto ad un periodo più lungo ma interpretato in modo rigido e razionale; ci sarebbe in definitiva una minor incidenza sulle casse dello Stato e una maggiore fruibilità per le aziende calcolando un massimale di ore per dipendente sempre rispettando il biennio mobile. Ma la vera riforma dovrà passare obbligatoriamente attraverso la riduzione dei tempi di attesa dell’autorizzazione e dell’erogazione ai dipendenti in caso di pagamento diretto ai lavoratori. Si potrebbe quindi ipotizzare  un’autorizzazione contestuale all’inoltro della domanda di ammissione ed entro massimo 30 giorni dalla data di protocollo l’Inps potrà confermare l’autorizzazione o comunicare il diniego della domanda. In questo modo attraverso il flusso uniemens che le aziende inviano mensilmente alle sedi Inps competenti il datore di lavoro invierà telematicamente tutte le informazioni utili senza dover richiedere eventuali ticket autorizzativi in modo da velocizzare sensibilmente il pagamento delle integrazioni salariali ai dipendenti.

Connotati ben più importanti riveste la riforma urgente delle politiche attive del lavoro. Ce ne può parlare?

Con la fine del blocco dei licenziamenti esiste vive la possibilità di una grave perdita di posti di lavoro; nei prossimi mesi il mercato del lavoro sarà segnato da un tasso di disoccupazione molto più alto rispetto a quello già elevato che esisteva prima del Covid 19  e nonostante l’importante intervento macroeconomico non è affatto scontato che si verificherà un recupero della disoccupazione anche perché l’aumento di nuovi posti di lavoro sarà inevitabilmente legato a nuovi accessi al lavoro e ciò potrà creare un aumento della disoccupazione strutturale dovuta al mismatch tra disoccupati e posti disponibili. Difatti man mano che l’offerta di lavoro tornerà attiva  si troverà di fronte una domanda di lavoro cambiata rispetto al periodo precedente la pandemia. In definitiva i posti di lavoro disponibili saranno diversi da quelli persi. Con l’utilizzo più accentuato dello smart working e con i processi di digitalizzazione in atto che porteranno all’introduzione di macchine intelligenti è presumibile che tali cambiamenti genereranno una domanda di lavoro orientata verso skills digitali.

E’ quindi fondamentale accompagnare i lavoratori verso una riconversione che passi dal sostegno passivo degli AA.SS  alla ricollocazione attraverso progetti formativi e di adeguamento di capacità gestionali che dovranno passare obbligatoriamente attraverso una riforma accelerata dei centri per l’impiego da sempre punto dolente del mercato del lavoro. Con la digitalizzazione dei servizi per l’impiego si dovrà trovare una gestione ottimale del matching nel mercato del lavoro attraverso l’identificazione tempestiva delle nuove opportunità di lavoro in modo da formare profili professionali che siano confacenti con le esigenze specifiche delle imprese. Altro passaggio cruciale sarà quello di rideterminare il rapporto duale scuola – imprese che in altri paesi europei funziona perfettamente e in Italia stenta a decollare . Solo con il rafforzamento di tale rapporto si potranno creare figure pronte al mercato del lavoro con tempi di attesa minimi.

In conclusione, cosa auspica per il futuro?

In definitiva occorre che finalmente si arrivi ad una politica del lavoro orientata verso l’obiettivo di aumentare l’occupabilità dei lavoratori, sia di quelli che sono ed inevitabilmente saranno oggetto di AA.SS., sia soprattutto di coloro che sono fuoriusciti dal sistema lavoro a causa della pandemia e devono ricollocarsi in nuovi settori con adeguati processi formativi. La particolare natura della crisi da Covid 19 ha mostrato a tutti che solo le sinergie tra una pluralità di istituzioni potrà rilevarsi il punto vincente per far riavviare il mercato del lavoro; solo infatti lo sforzo congiunto di governo, imprese, sindacati, istituzioni sociali potrà di nuovo “nutrire” la nostra economia per far si che il dopo pandemia diventi un’opportunità per tutti e non un punto di non ritorno.