MICHELE SARNO: STORIA DI UN PENALISTA DI SUCCESSO

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di Roberta Imbimbo

Tenacia, determinazione ed un altissimo livello di competenze sono le chiavi del successo professionale dell’avvocato Michele Sarno, un professionista esemplare che, nel corso della sua fortunata carriera, ha collezionato innumerevoli successi giudiziari. Il principe del foro campano è stato recentemente riconfermato al rango di Presidente della Camera Penale di Salerno, parte integrante della più importante associazione di categoria per la tutela, la formazione e la promozione degli avvocati penalisti. Ha presenziato a numerose trasmissioni televisive alla Rai e in altre reti nazionali, tra le quali spicca L’Arena di Massimo Giletti, alla quale ha partecipato, in qualità di legale di una dipendente licenziata, per dibattere dello scandalo degli assenteisti al Ruggi. 

Avvocato Sarno, come è nata la sua passione per la professione forense?

“E’ un sogno che ho coltivato sin da bambino e che non mi ha mai abbandonato. Una passione che è esplosa in me quando iniziai ad ascoltare la storia di Alfredo De Marsico, il più grande avvocato penalista di tutti i tempi, nonché ministro della giustizia nel governo Mussolini. A soli quattro anni, ascoltando mio zio raccontare enfaticamente le storie delle arringhe di questo illustre penalista, iniziai a coltivare il desiderio di intraprendere questa carriera. Grazie ai sacrifici dei miei genitori, iniziai gli studi in Giurisprudenza e, subito dopo la laurea conseguita con il massimo dei voti, mi avviai alla pratica forense”. Perché ama questa professione? “L’avvocato è una”sentinella dei diritti fondamentali” costituzionalmente garantiti. Una volta insediatomi alla Presidenza della Camera Penale di Salerno ho cercato in tutti i modi di rilanciare, anche a livello nazionale, la figura dell’avvocatura. Una figura affascinante, proprio perché tutela la libertà altrui, che dovrebbe assurgere ai sublimi fasti del passato”.

Ci può parlare della sua esperienza professionale?

“Senza entrare in racconti dettagliati di questi lunghi anni di carriera, posso dire di aver preso parte a numerosi processi di spessore: tangentopoli, l’omicidio Torre, il cosiddetto processo alle toghe sporche. Sono stato in Colombia con la distrettuale antimafia, capitanata dal procuratore nazionale antimafia, per ascoltare gli interrogatori a carico del mio assistito, indagato per l’omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo. Un omicidio ancora irrisolto. Ho preso parte a processi particolarmente importanti e significativi anche all’estero e mi sono quindi interfacciato con realtà giuridiche differenti da quella italiana. L’avvocatura è una professione che suscita in me emozioni forti: passione ed orgoglio per avere il privilegio di poter difendere i diritti altrui; perseveranza nelle battaglie; gioia per il raggiungimento dei risultati per i quali ho ostinatamente combattuto; delusione per chi all’interno dell’avvocatura non percepisce la bellezza di questa professione e fa di tutto per scoraggiare le generazioni future ad intraprenderla. Credo invece che i giovani debbano essere spronati. Bisogna, però, preservare a tutti i costi la qualità di una professione straordinaria puntando sulla formazione, unica vera ricchezza di un paese. I problemi della giustizia non sono legati al numero degli avvocati bensì ai ritardi, alle lungaggini e alle lentezze processuali propri di un sistema elefantiaco e farraginoso”.

Cosa si può fare in concreto per rendere la giustizia più veloce? “Noi paghiamo lo scotto di una democrazia imperfetta (come diceva Churchill) e di un potere legislativo che è detenuto da persone molto spesso prive delle giuste competenze per legiferare. Le leggi, per essere aderenti alla realtà, devono essere semplici e chiare. I problemi della giustizia si possono risolvere emanando meno norme, accelerandone i tempi di approvazione e semplificando quelle già vigenti. E poi c’è il delicato tema della separazione delle carriere fra funzione giudicante e funzione requirente: perché il processo sia giusto è necessario che il Pm non abbia fatto la stessa carriera del giudice. La separazione delle carriere è uno dei presupposti della parità delle parti, sancita dall’art. 111 della Costituzione. Solo un giudice equidistante può garantire un reale contradditorio e verificare, senza pregiudizi, la validità delle diverse tesi prospettate dall’accusa e dalla difesa”.

Perché ha deciso di raccontare la sua storia? “Essendo figlio di persone semplici, non legate al mondo dell’avvocatura, e avendo avuto la fortuna di raggiungere traguardi straordinari ed inimmaginabili, vorrei essere di stimolo e di esempio per i tanti giovani che partono da zero e sono sfiduciati. Erroneamente si tende a credere che il successo sia appannaggio esclusivo di determinate famiglie o di determinati poteri. Ma non è così. Bisogna solo avere il coraggio di battersi per le proprie idee e per i propri sogni. Io l’ho fatto e ho vinto una battaglia importante. Una delle tante che hanno arricchito la mia vita”.