Scoperto il meccanismo che attacca la memoria e provoca l’Alzheimer

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PER LA PRIMA volta in uno studio su pazienti, è stato scoperto da scienziati italiani il ruolo chiave di una piccola regione del cervello, l’area tegumentale-ventrale, nella malattia di Alzheimer. Se questa zona, che si occupa di rilasciare la dopamina, una importante molecola ‘messaggera’ del cervello, funziona poco, ne risente il ‘centro’ della memoria, l’ippocampo, quindi la capacità di apprendere e ricordare. A confermare i risultati di una prima ricerca sui topi da laboratorio, realizzata da Marcello D’Amelio dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dell’IRCCS Santa Lucia, uno studio sull’uomo di due ricercatori italiani dell’Università di Sheffield, nel Regno Unito. Il risultato di quest’analisi su 110 persone potrebbe rivoluzionare diagnosi e cure di questa patologia.

“La nostra scoperta indica che se una piccola area di cellule del cervello,  l’area tegmentale-ventrale, non produce la corretta quantità di dopamina da fornire all’ippocampo, un piccolo organo situato dentro il lobo temporale, in questa situazione quest’ultimo non funziona più in modo efficiente – spiega Annalena Venneri dello Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN) e autrice dello studio – .L’ippocampo è associato con la formazione di nuovi ricordi, per questo questa scoperta è cruciale per la diagnosi precoce dell’Alzheimer. Il risultato mostra un cambiamento che scatta repentinamente e che può innescare l’Alzheimer. Questo è il primo studio al mondo che è riuscito a dimostrare questo collegamento negli esseri umani”.

• TEST PER LA MEMORIA
I ricercatori sono riusciti così a  chiarire quali siano i dettagli molecolari della mancata comunicazione tra le cellule nervose che, nel tempo, provoca perdita di memoria. Fra le funzioni della dopamina c’è la regolazione del movimento e delle risposte emotive.

I risultati della ricerca, pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Disease, potrebbero rivoluzionare gli screening per individuare i primi segnali dell’Alzheimer, una patologia che colpisce oltre 600mila persone in Italia e 47 milioni in tutto il mondo, destinate a triplicarsi entro il 2050. L’ipotesi sarebbe quella di cambiare il modo in cui le scansioni cerebrali sono acquisite e interpretate, così come l’utilizzo di differenti test per la memoria.

“La dopamina è necessaria a tutto il cervello – spiega D’Amelio professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia al Campus Bio-Medico, il primo a capire l’importanza di questo neurotrasmettitore nell’Alzheimer – . Assolve funzioni diverse a seconda di dove rilasciata, nell’ippocampo è collegata alla memoria. Viene prodotta da neuroni che si trovano nel mesencefalo. In questo caso viene rilasciata in aree del cervello coinvolte in funzioni non motorie che vanno dalla regolazione dell’umore alla memoria. Se il meccanismo non funziona, il paziente non riesce più a ricordare quello che accada e si ammala”.

• LE SUPER RISONANZE MAGNETICHE
I due ricercatori italiani, Venneri e il co-autore Matteo De Marco, hanno preso in esame un campione di 110 pazienti. Hanno acquisito risonanze magnetiche molto potenti, chiamate a 3Tesla, di 51 adulti sani, di 30 pazienti con diagnosi di decadimento cognitivo lieve e di 29 pazienti con diagnosi di Alzheimer. Si tratta di risonanze che hanno il doppio della potenza delle normali scansioni Rmn e sono così in grado di produrre immagini della migliore qualità possibile. I risultati hanno dimostrato un legame-chiave tra le dimensioni e la funzionalità dell’area tegmentale-ventrale, le dimensioni dell’ippocampo e l’abilità a imparare nuovi concetti.

• SCREENING PER LA POPOLAZIONE
“Sono necessari ulteriori studi, ma questa scoperta può potenzialmente condurre a un nuovo modo di intendere gli screening per la popolazione anziana in caso di primissimi segnali di Alzheimer, cambiando la modalità in cui vengono acquisite e interpretate le scansioni diagnostiche del cervello e utilizzando differenti test per la memoria”, aggiunge Venneri – . Un altro possibile beneficio di questa scoperta è che potrebbe portare a un’opzione di trattamento differente della malattia, con la possibilità di cambiarne o fermarne il corso molto precocemente, prima che si manifestino i principali sintomi. Adesso vogliamo stabilire quanto precocemente possono essere osservate le alterazioni nell’area tegmentale-ventrale e verificare anche se queste alterazioni possono essere contrastate con trattamenti già disponibili”.

• “NUOVI FARMACI ENTRO L’ANNO”
E’ stato proprio Marcello D’Amelio professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, il primo a individuare nella dopamina un ruolo centrale nell’Alzheimer con la sua prima ricerca sui topi nei laboratori della Fondazione Santa Lucia IRCCS. “Ora anche in Italia stiamo facendo studi sull’uomo su un campione di 180 pazienti. I nostri risultati confermano quelli appena pubblicati dall’Università di Sheffield – . Questi dati ci sono preziosi per le diagnosi precoci e, avendo chiarito quali neuroni sono coinvolti in questa degenerazione del cervello, potremo testare nuovi farmaci sugli animali per mettere in atto meccanismi di prevenzione. L’Alzheimer parte in una fase asintomatica, si sviluppa al buio in 15-20 anni. Nel tempo, questa scoperta permetterà di avere una diagnosi precoce”. Un obiettivo che sembra vicino. “Entro l a fine dell’anno sono attesi i risultati di una sperimentazione farmacologica ‘made in Italy’ contro la malattia di Alzheimer- spiega Giacomo Koch, direttore del Laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale dell’IRCCS

Fonte http://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2018/03/26/news/alzheimer_ippocampo_importante_nell_insorgere_malattia-192264070/