La depressione è una sensazione di perenne tristezza associata ad una riduzione di interesse o di piacere per le attività quotidiane; talvolta può essere talmente intensa o profonda da interferire sulla qualità di vita del paziente, inducendolo a non avere più prospettive, a non vivere serenamente il presente, a rimuginare su un passato che gli crea angoscia, rimorsi e rancori. L’unico modo per affrontare questo disturbo molto diffuso, ma spesso trascurato ed ignorato – oggi circa 1 persona su 15 nei Paesi Occidentali sviluppa almeno una volta nella vita un episodio depressivo – è capire, grazie all’aiuto degli esperti del settore, come poterlo affrontare al meglio. “La depressione è una patologia che si può curare e da cui si può guarire, se trattata ovviamente nel modo corretto”, afferma il Prof. Vito Covelli, un neurologo molto rinomato nel panorama mondiale, altamente specializzato in Malattie del Sistema Nervoso. Un luminare della materia – già̀ Professore di neurologia nell’Università̀ Federico II di Napoli e Direttore di Neurologia all’Ospedale consorziale Università̀ di Bari  – che ha speso la sua vita per la medicina e la ricerca.

di Roberta Imbimbo

Prof. Covelli, cosa si intende per depressione? Quali sintomi non devono essere sottovalutati ma al contrario devono indurre una persona a rivolgersi ad un professionista esperto?

E’ necessaria una piccola premessa. Eventi esterni negativi – si pensi ad esempio all’improvvisa perdita di una persona cara o al mancato raggiungimento di un traguardo professionale molto ambito – possono produrre temporanee alterazioni del tono dell’umore, inducendo una persona a ripiegarsi su se stessa per metabolizzare il suo dolore, la sua tristezza, la sua delusione o la sua frustrazione. In questi casi però non si può parlare di depressione psichica vera e propria (al massimo si dovrebbe parlare di reazione depressiva episodica) perché tali stati d’animo sono la naturale conseguenza di problemi di vita quotidiana e non interferiscono minimamente sull’andamento delle normali funzioni sociali e lavorative della persona. La depressione endogena o primaria è invece cosa assai più complessa ed articolata. Si tratta infatti di una malattia invalidante e disgregante che implica alterazioni significative del tono dell’umore accompagnate da altri sintomi di natura sia somatica che psicologica. Il quadro complessivo di tali sintomi (profonda tristezza e disperazione, perdita di interessi, mancanza di energie, disturbi dell’appetito e del sonno, ritiro sociale, perdita di autostima, bisogno di autopunizione, mancanza di interesse per la cura del proprio corpo) comporta una grave compromissione del funzionamento sociale e lavorativo della persona, inducendola ad un isolamento progressivo e totale, a vivere continuamente un profondo senso di disagio e di scarsa fiducia nei confronti del futuro. Il confine tra la depressione endogena e altri stati d’animo come la malinconia, la tristezza e la frustrazione è dunque segnato nettamente dall’indifferenza per il mondo esterno, dall’alterazione dei rapporti interpersonali, dall’incapacità di entusiasmarsi anche per le cose piacevoli della vita, da pensieri rincorrenti di morte o di suicidio, dalla necessità di isolarsi in casa e di rimanere il più a lungo possibile a letto, a causa di quella sensazione di malessere diffuso che porta il paziente a sentirsi sempre stanco, debole o vuoto. Il paziente depresso è infatti apatico, passivo, privo di energie positive; ha perso chiaramente la voglia di vivere e di reagire aggressivamente agli scossoni della vita.

Esiste però un tipo di depressione di difficile comprensione, perché nascosta prevalentemente dietro sintomi di natura somatica. Ce ne può parlare?

 La depressione mascherata – così chiamata proprio per evidenziare che a volte la depressione psichica si può presentare sotto mentite spoglie è un codice che va ben interpretato, in quanto i sintomi fisici sono ben rappresentati, costanti ed invalidanti mentre quelli psichici sono nascosti, di minore intensità e in alcuni casi non appaiono affatto. Proprio per questi motivi, il paziente spesso si sente non compreso.  Grazie ad una diagnosi precisa, il professionista esperto riesce ad intervenire nel modo adeguato risolvendo il problema, mentre purtroppo la diagnosi e il trattamento imprecisi possono provocare gravi conseguenze somatiche e psicologiche. Essi infatti limitano significativamente il funzionamento sociale dei pazienti, possono aumentare il tasso di suicidio e incrementare ulteriormente i costi della diagnosi e del trattamento.

Oggi si può guarire dalla depressione?

Assolutamente sì! Come detto è necessaria una diagnosi precisa e circostanziata, fatta da un professionista esperto secondo rigidi protocolli internazionali (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è in tal senso un importante punto di riferimento). L’ascolto è ovviamente la prima tappa terapeutica: C.G. Jung diceva che la depressione è una signora vestita di nero che bisogna far sedere alla propria tavola ed ascoltare. Lo specialista deve quindi saper ascoltare (dando massima importanza a ciò che la persona comunica e non sottovalutando nessun segnale), stimolare (soprattutto i pazienti poco propensi al dialogo), approfondire ed interpretare per poi commisurare la strategia terapeutica alle singole necessità individuali, sia biologiche che psicologiche. La terapia deve essere infatti cucita su misura addosso alla singola persona (e se ben somministrata consente al paziente di tornare a sorridere alla vita già nell’arco di tre settimane). Per questo è estremamente importante evitare cure fai da te ma rivolgersi al proprio neurologo di fiducia. Il cervello è un organo complesso, e come tale lo è anche la sua cura. E’ importante capire, quindi, che la depressione è una malattia vera e propria che si può e si deve curare in modo appropriato. Del resto, numerose sono le strategie disponibili. A livello psicofarmacologico sono molte le novità che si sono succedute negli ultimi anni e oggi ci sono numerosi farmaci ad azione antidepressiva che hanno dimostrato di essere altamente efficaci nel 96,5% dei casi. Numerosi studi scientifici hanno poi evidenziato che la combinazione tra psicoterapia e terapia farmacologica consente di ottenere ottimi risultati clinici.

Sicuramente si all’uso degli antidepressivi, che consentono di migliorare sensibilmente il tono dell’umore della persona senza creare farmaco-dipendenza. Cosa ci dice invece circa l’uso e l’abuso degli ansiolitici?

I farmaci di categoria ansiolitica, ad azione rapida, pur essendo nel breve periodo molto efficaci nella gestione dei sintomi ansiosi, devono essere prescritti esclusivamente dopo un’attenta valutazione diagnostica, in quanto facilmente in grado di facilitare una condotta di abuso che predisponga allo sviluppo di una pericolosa dipendenza fisica e psichica. Capita spesso, invece, che vengano utilizzati con estrema leggerezza e con criteri di cura sbagliati. Bisogna quindi comprendere che tali farmaci possono favorire la cura di determinate patologie psicofisiche, se e solo se assunti nelle dosi corrette e negli appropriati contesti psicofisici; contrariamente possono essere estremamente dannosi o pericolosi se la dose assunta è eccessiva e fuori dalle disposizioni mediche e i tempi di assunzione sono prolungati e senza controllo. Chi ne abusa, deve quindi riconoscere di avere un problema di dipendenza e accettare di rimettersi nelle mani di uno specialista; deve smettere di indossare maschere pericolose, fingendo che tutto vada bene, e deve necessariamente essere assistito in un percorso di cura e di disintossicazione che preveda una graduale riduzione posologica del farmaco  fino alla completa sospensione. In conclusione, oggi è possibile guarire dalla depressione purché si affronti la malattia nel modo corretto, con un trattamento di cura personalizzato studiato ad hoc in base alle singole necessità. L’obiettivo della terapia sarà soprattutto quello di far comprendere al paziente che gli eventi negativi possono anche accadere ma non devono minimamente ledere la sua integrità psicofisica; e che quindi deve rimanere saldamente ancorato alla sua voglia di vivere. Alla  sua voglia di non perdere se stesso.